
Nel 49 a.C. lo scontro tra Cesare e Pompeo arrivò al suo epilogo naturale: lo scontro militare. Quello scontro avrebbe deciso chi sarebbe stato il nuovo padrone di Roma, colui che avrebbe gestito la transizione dalla Repubblica all'Impero.
Dietro le figure dominanti dei due grandi personaggi, un'intera civiltà divisa in due schieramenti, quello popolare di Giulio Cesare e quello aristocratico di Pompeo Magno: un conflitto tra due uomini era destinato a diventare una vera e propria guerra civile.
Ma come si era arrivati allo scontro ? Quale le motivazioni che avevano fatto degenerare la situazione da un punto di stabilità, quale quello fotografato dagli accordi triumvirali, ad una guerra fratricida?
Lo scontro tra Cesare e Pompeo aveva radici molto lontane nel tempo ed era legato ad una crisi irreversibile delle istituzioni repubblicane, in particolare del potere senatorio e quindi della gestione aristocratica, il resto furono solo pretesti formali per arrivare allo scontro.
La grande espansione di Roma, ormai di fatto un impero, richiedeva nuove forme di governo che l'antica aristocrazia senatoria non era in grado di esprimere. Si creavano quindi le condizioni perché uomini ambiziosi tentassero di concentrare il potere nelle loro mani.
Quando il Senato di Roma con il voto del 1° gennaio del 49 a.C., confermato il successivo 7 gennaio, rifiutò le ultime offerte di Cesare di arrivare ad un compromesso, aveva reso inevitabile il ricorso alla guerra civile da parte dell'eroe delle Gallie.
La sua mente era scossa da grandi dubbi dovuti alla gravità della sua decisione, quella di marciare in armi contro la sua città.

Svetonio racconta che Cesare vagò per una notte intera prima di recarsi sulle rive del Rubicone, dove erano accampate la XIIIª legione.
Arrivato sulle rive di quel fiumiciattolo, all'alba del 12 gennaio del 49 a.C., rivolgendosi agli uomini più vicini a lui sentenziò:
"Siamo ancora in tempo a tornarcene indietro, ma quando avremo superato quel ponticello tutto dovrà essere regolato con la spada".
La frase con cui Cesare deciderà il suo destino, quello di Roma e soprattutto quello della Repubblica, passerà alla storia per il suo grande effetto, scandendo il senso di una decisione irrevocabile:
"Andiamo là, dove i prodigi del cielo e l'ira dei miei nemici mi chiamano: il dado è tratto".
E così attraversò il Rubicone insieme ai suoi legionari e occupò la città di Rimini (Ariminum) dove si ricongiunse con i tribuni che avevano abbandonato Roma.
La loro presenza fu usata da Cesare, per legittimare la sua scelta nei confronti dei suoi soldati, rimuovendo dalla loro testa gli ultimi dubbi: il diritto di veto dei tribuni era considerato da sempre un diritto sacro ed inviolabile che proteggeva il popolo dall'arroganza dell'aristocrazia.
La presenza dei tribuni nella città di Rimini era la testimonianza concreta che questo diritto era stato violato.
La conclusione è infine nota a tutti, Cesare sconfisse i suoi rivali e si trovò di fatto padrone di roma, segnando un punto di non ritorno per la Repubblica Romana.
E' sintomatico notare, come al momento di entrare in Italia da nemico, l'antico condottiero, scelse proprio Rimini come base militare. Infatti, la provincia romagnola, era un punto chiave della geografia dello stato romano, chi possedeva Rimini, poteva regolare i traffici in pianura padana ed accedere a Roma facilmente attraverso la via Flaminia.
Lo stesso figlio adottivo di Cesare, Augusto, fu sempre molto legato a Rimini, lo dimostrano gli importanti lavori di cui Rimini fu oggetto sotto la corona di Ottaviano Augusto.
Infatti il primo vero principe del nuovo Impero Romano, volle non solo la ristrutturazione e la pavimentazione della via Flaminia a sue spese, ma a suo nome fu eretto l'Arco D'Augusto e intrapresa la costruzione del Ponte di Tiberio.